Nuove tendenze e metodologie applicate allo studio dei principi dottrinali degli insegnamenti dello Zen Sōtō

Kiyozumi Ishii –


Sono molto felice di fare la vostra conoscenza. Mi chiamo Kiyozumi Ishii dell’Università Komazawa in Giappone. Come voi sapete sono anche un monaco Zen e vorrei chiedervi la cortesia di chiamarmi con il mio nome di Dharma, Seijun.

Per questo seminario, Kamada Shoki San mi ha chiesto di parlare delle ultime tendenze nella ricerca sullo Zen Sōtō, attualmente portata avanti in Giappone, e dell’uso di metodologie informatiche, quali gli strumenti online, per interpretare lo Shōbōgenzō e altri testi radice della scuola Sōtō.

INTRODUZIONE

Vorrei iniziare parlando della definizione di “Patriarchi” fornitaci da Dōgen. La possiamo trovare nell’introduzione di Deyu (Tokui) al Sutra della Piattaforma del Sesto Patriarca. In essa leggiamo: “Coloro che sono illuminati alla dottrina della mente del Buddha (wu foxin zong), la cui pratica e comprensione si equivalgono, sono grandi fratelli spirituali.” (John McRae – The Platform Sutra of the Sixth Patriarch).

Le parole dell’ultima frase citata significano: “ottimi maestri su cui si può fare affidamento” e si riferiscono allo stesso Huineng. Deyu (Tokui) elogiò Huineng come un monaco che non solo praticava ma che sentiva il bisogno di chiarire il vero significato della Pratica.

Dōgen stesso vi faceva riferimento in uno dei suoi scritti, l’Eihei-koroku, come segue:

498. Discorso della Sala del Dharma.

“ Coloro che realmente possiedono il dono della pratica e del discernimento, sono chiamati i maestri ancestrali. Quello che chiamiamo pratica è la Pratica intima e profonda della scuola dei Patriarchi, quello che chiamiamo discernimento è la perspicacia della scuola dei Patriarchi. La pratica e il discernimento degli Antichi Buddha sono semplicemente la pratica di ciò che deve essere praticato e il discernimento di ciò che deve essere compreso.” (Taigen Leighton & Okumura Dōgen’s Extensive Record)

Come possiamo vedere, Dōgen enfatizza l’importanza di possedere entrambi i doni, della pratica e del discernimento, per poter essere considerati antenati Zen. Deyu (Tokui) disse che i più importanti sacerdoti Zen dovrebbero possedere una reale comprensione dello Zen e della Pratica. Dōgen pone simili condizioni e stabilisce questo con la frase “ sono semplicemente la pratica di ciò che deve essere praticato e il discernimento di ciò che deve essere compreso”. Fondamentalmente lo Zen considera la pratica quotidiana come l’aspetto più importante; tuttavia la comprensione del fondamento logico di tale importanza questo è, allo stesso tempo, di per sè importante.

Secondo questa definizione anch’io, pur dedicando molto tempo ed energie allo studio degli ideogrammi cinesi (Kanji), sono ben lontano dal padroneggiare lo Zen.

LINEAMENTI DI STORIA DEGLI STUDI SŌTŌ E DI DŌGEN

Innanzitutto vorrei rivedere con voi alcuni lineamenti della storia degli studi sulla tradizione Sōtō per comprendere come si siano sviluppati nel tempo dando origine a correnti di pensiero interne ed esterne alla Scuola stessa. Lo faremo ripercorrendo il percorso di Maestri, praticanti e studiosi.

1. Classificazione degli studi Sōtō nel Giappone contemporaneo .

  • 1.a. Teologia Sōtō (Veicolo Sōtō, 17° sec.) – interpretazione tradizionale dei canoni Sōtō presso i monasteri.
  • 1.b. Accettazione da parte dei filosofi (19° sec.) – analisi filosofica e ideologica dello Shōbōgenzō da parte dei filosofi dopo la restaurazione Meiji.
  • 1.c. Studi Sōtō (19° e 20° sec.) – introduzione di metodologie di ricerca accademica nell’ambito degli studi storici e religiosi.

I più famosi studiosi possono essere suddivisi nelle tre categorie descritte sopra:

  • Nishiari e Kisizawa rappresentano i successori della scuola teologica Sōtō più tradizionale.
  • Gli studiosi cosiddetti Komazawa appartengono perlopiù alla categoria “c.” in quanto hanno introdotto le più moderne metodologie negli studi religiosi, storici e filosofici.
  • Infine gli studiosi che appartengono alla categoria “b”. Essi comprendono alcuni filosofi delle Università di Tokyo e Kyoto come Tanabe, Watsuji e così via, i quali preferirono esprimere il loro pensiero basandosi sulla filosofia occidentale e utilizzando citazioni dello Shōbōgenzō.

Questa categorizzazione è tutt’ora presente nell’ambito degli studi Sōtō in Giappone. Alcune si sono reciprocamente influenzate mentre altre hanno mantenuto la loro originalità.

Ora vorrei soffermarmi un attimo sullo sviluppo cronologico degli studi Sōtō.

2. Creazione del Veicolo Sōtō.

    • 2.a. Periodo MUROMACHI (14°-16° sec.). Dopo la morte di Dōgen, dal 14° al 16° secolo i monaci Sōtō non guardarono allo Shōbōgenzō per affermare la loro originalità filosofica. La loro identità era rivelata dalla pratica monastica, specialmente dalla pratica di Zazen.
    • 2.b. Periodo EDO (17°-18° sec.). Durante questo periodo iniziarono gli studi dello Shōbōgenzō, probabilmente a seguito delle politiche sulle scuole religiose adottate dallo shogunato Tokugawa, e come conseguenza dell’arrivo in Giappone di nuovi movimenti Zen provenienti dalla Cina.
      • 2.b.i. Lo shogunato Tokugawa promulgò la cosiddetta Legge Hatto, applicabile a tutte le scuole buddhiste, che prevedeva:
        • L’ordinamento obbligatorio dei templi (Homnatsu-seido).
        • La registrazione presso ciascun tempio dei praticanti laici (Terauke-seido).
        • L’indipendenza delle scuole (in particolar modo per lo Zen).
        • La stabilità economica dei templi.
      • 2.b.ii. il movimento O-baku Zen (Huan po chan) introdotto in Giappone da Yin Yuan che prevedeva:
        • La meditazione seduta con la recitazione dei Nomi del Buddha.
        • L’introduzione di nuovi strumenti e strutture.
        • Modifiche al Rito nelle scuole Sōtō e Rinzai.
        • Introduzione di importanti cambiamenti nei monasteri.

Secondo lo Homnatsu-seido, che introduceva l’ordinamento obbligatorio delle scuole buddhiste, furono riorganizzati i Templi Madre con la conseguente rinascita di un senso di appartenenza alle varie sette.

Tarauke-seido elevò lo status sociale dei vari templi e portò stabilità economica ma, allo stesso tempo, introdusse la necessità, per gli abati, di possedere un elevato livello di scolarizzazione e una forte magnanimità. In questo contesto, all’interno dei vari templi furono fondati istituti per l’istruzione che diedero origine a programmi di studi per i monaci. Uno di tali istituti, Sendan-rin, contribuì alla nascita dell’Università Komazawa.

O-baku Zen , dal canto suo, ebbe molteplici effetti sia sul Rito che sulle strutture dei monasteri. O-baku (Huan po) Zen è stato introdotto in Giappone nel 1655 da Ingen (Yin Yuan). La vita monastica nelle tradizioni Sōtō e Rinzai fu profondamente influenzata dal nuovo stile: tra le altre cose furono introdotte le campane e i tamburi di legno (mokugyo), nonché la sala da pranzo all’interno del monastero. L’influenza di questo movimento è stata così profonda che dopo un iniziale entusiasmo, entrambe le scuole Sōtō e Rinzai realizzarono che la sua implementazione sarebbe stata problematica. I monaci, infatti, vedevano l’introduzione di regole e concetti forestieri come una possibile causa di estinzione della loro tradizione.

      • 2.b.iii. Creazione del Veicolo Sōtō.

Successivamente sorsero due importanti movimenti:

        • La rifioritura delle Regole monastiche di Dōgen e Keizan. (Koki-fukko).
        • La ripresa della trasmissione del Dharma di Dōgen. (Shūtō-fukko).

Koki-fukko è il movimento che ha corretto le Regole monastiche dopo i cambiamenti introdotti, in maniera inappropriata, dalla scuola O-baku (Huanpo) a metà del 17° secolo. Il movimento Koki-fukko prevedeva la conservazione di tutte le regole monastiche della Scuola Sōtō allora conosciute.

Shūtō-fukko rappresentò il tentativo, in seno alla Scuola Sōto, di porre fine alle diatribe sulla trasmissione del Dharma. Questo tentativo fu portato avanti tra molte difficoltà dovute alla frapposizione di due fazioni opposte: quella facente capo a Menzan Zuihō, che sosteneva che il metodo di trasmissione si doveva basare sull’avvenuto risveglio del successore, e quella guidata da Tenkei Denson che spingeva per una stesura di procedure formali per la trasmissione. Alla fine prevalse la corrente guidata da Menzan e Tenkei fu messo in disparte.

Menzan e Tenkei erano altresì contrapposti nella controversia sull’approccio all’interpretazione dello Shōbōgenzō. Menzan asseriva che si doveva considerare il Shōbōgenzō-kikigaki-shō (abb. Goshō), il più antico commentario scritto nel periodo Kamakura, come la principale base su cui appoggiare l’interpretazione dello Shōbōgenzō. Per contro, Tenkei rifiutò l’adozione di questo testo considerandolo inesatto.

Tenkei fu nuovamente sconfitto e così nacque il metodo tradizionale di interpretare lo Shōbōgenzō che fa riferimento al Goshō.

A seguito di questi scontri dottrinali, le istituzioni educative della Scuola Sōtō, stabilirono il seguente piano di studi:

      • Veicolo Sōtō (Shu-jo).
      • Altri Veicoli (Yo-jo).
      • Classici cinesi (Kansei).
      • Versi (Shige).

I Classici cinesi e i Versi rappresentavano, per i monaci, materie di studio più generiche mentre molta importanza era riconosciuta allo Shu-jo in quanto serviva a far rivivere le basi dottrinali della Scuola Sōtō e a ricostruire una forte identità.

In tale ottica, l’interpretazione dello Shōbōgenzō divenne la materia con il maggior peso all’interno del programma formativo della Scuola Sōtō, così come previsto da Dōgen stesso. Tale interpretazione faceva affidamento principalmente sul commentario Shōbōgenzō-kikigaki-shō anche se era contestato da Tenkei, il quale si opponeva anche allo Shūtō-fukko.

Lo Shōbōgenzō-kikigaki-shō, molto probabilmente fu scritto dai discepoli di Dōgen e pertanto può essere considerato affidabile ma devo farvi notare l’esistenza di alcuni preconcetti, quali:

      • Una interpretazione di tipo “monista”. Goshō unisce termini tra di loro opposti come giusto e sbagliato, lungo e corto, dentro e fuori, per indicare un unico, assoluto, concetto di “buddhità”.
      • Qualsiasi capitolo dello Shōbōgenzō può essere integrato nello Genjo-koan o nel Busshō. (In altre parole, Genjo-Koan o Busshō possono essere visti come riassuntivi dello Shōbōgenzō).

Questo tipo di interpretazione è riscontrabile i vari sermoni tenuti nei monasteri e divenne la base per uno stile contemporaneo di studio dello Shōbōgenzō, lo Shugaku (Studi Sōtō Tradizionali).

Un famoso studioso di Dōgen, Kurebayashi Kodo, ha definito Dentō-shūgaku (la Teologia Tradizionale Sōtō) come segue:

“Dentō-shūgaku è un punto di vista che considera come suprema la dottrina stabilita da Senne, discepolo di Dōgen, e dal suo discepolo, Kyōgō”.

  • 2.c. Periodo successivo alla la Restaurazione Meiji. Dopo la Restaurazione Meiji, Nishiari Bokusan (1821-1910) collocò i commentari allo Shōbōgenzō nel seguente ordine:1). Shōbōgenzō-kikigaki-shō, di Senne e Kyōgō.2). Shōbōgenzō-monge, di Menzan e del suo discepolo Fuzan Gentotsu.3). Shōbōgenzō-na-ippō, di Fuyō Rōran, discepolo di Tenkei.4). Shōbōgenzō-benchū, di TenkeiCon l’adozione di questa sequenza, si definì l’approccio di base all’interpretazione dello Shōbōgenzō. Ciononostante, gli studiosi moderni dovrebbero evolvere tale approccio, rivedendolo attraverso lo studio della storia dello Zen e l’utilizzo di metodologie linguistiche più moderne che prevedano lo studio del cinese colloquiale e della letteratura giapponese antica.

3. Accettazione dello Shōbōgenzō da parte dei filosofi (19° sec.)

La seconda delle principali correnti negli studi sugli insegnamenti di Dōgen, nacque subito dopo le Restaurazione Meiji. In quel periodo i Maestri delle scuole Zen giapponesi, invocarono l’aiuto degli intellettuali per far fronte alla politica governativa che promuoveva lo Shintoismo quale religione di Stato (Kokka Shintō).

Tra i molti che risposero all’appello vi erano Tanabe Hajime (1885-1963) e Akiyama Hanji (1893-1980) entrambi appartenenti alla Scuola di Filosofia Giapponese di Kyoto.

Questi filosofi non consideravano lo Shōbōgenzō come uno dei Testi Sacri della Scuola Sōtō, ma piuttosto come un’opera ideologica o filosofica e si relazionavano ad esso adottando un approccio fenomenologico. Inoltre consideravano Dōgen un filosofo e un pensatore e il suo pensiero, come illustrato nello Shōbōgenzō, separato dalla Teologia Sōtō. In questo modo gli studi su Dōgen diventarono un corso accademico a sè stante.

Il contributo di tali filosofi fu influenzato dai loro recenti studi di filosofia occidentale.

Questo fu il modo in cui furono formulati i principali studi Sōtō. Nel successivo periodo Showa, si sviluppò il Veicolo Sōtō e furono altresì sviluppate alcune nuove metodologie.

4. Taisho e il primo periodo Showa dopo la Restaurazione Meiji.

STUDI ACCADEMICI/ DAL “VEICOLO SŌTŌ” AGLI “STUDI SŌTŌ”.

Nel 20° secolo, i ricercatori che approfondivano il pensiero di Dōgen e la dottrina Sōtō, si muovevano in un ambito puramente accademico collocato aldilà dei cancelli dei templi. In quel periodo fu coniato il termine Sōtō Shūgaku (Studi Sōtō).

L’origine del nome e del concetto di Shūgaku sembra essere riconducibile a un corso di studi chiamato Shūgaku-joetsu, tenuto presso l’Università di Komazawa da Etō Sokuō nel 1932. Nel periodo Edo, i teologi Sōtō si riferivano al loro campo di studi con il termine Shūjō (Veicolo Sōtō).

Successivamente, Etō pubblicò l’opera “Maestro Zen Dōgen, il Fondatore (Shūso to shite no Dō gen Zenji, 1944)”. La sua disciplina, Moderna Teologia Sōtō (Kindai Shūgaku, o Studi Sōtō), univa la metodologia degli studi religiosi e lo studio della dottrina delle altre scuole buddhiste (es. Kegon, Tendai, ecc.).

Più o meno nello stesso periodo, Nukariya pubblicò “La dottrina del Maestro Dōgen – colui che ha afferrato l’Essenza del Buddhismo (Bukkyō no Shinzui wo Haaku Seru Dōgen Zenji no Ky ōgi, 1935)”, il cui scopo era molto simile a quello dell’opera di Etō. La pubblicazione di questi due trattati rappresentò il debutto accademico della moderna Teologia Sōtō.

In breve, possiamo dire che questo periodo è stato caratterizzato da i seguenti elementi:

  • La nascita degli studi storici sul Buddhismo.
  • La fusione del Veicolo Sōtō con altri Veicoli. La ricerca non si limitava a fonti settarie ma si apriva allo studio comparato di tutta la storiografia e il pensiero buddhista.
  • L’introduzione di metodologie di ricerca importate dall’occidente.

NUOVE TENDENZE NEGLI STUDI SŌTŌ.

Dagli anni ’80 del ventesimo secolo in poi, furono identificate nuove metodologie per la lettura dei testi del canone Sōtō, ognuno dei quali molto utile per la comprensione dello Shōbōgenzō.

    • 1. Una nuova interpretazione basata sullo stile di Dōgen per le citazioni.

La successiva generazione di studiosi, emersa dopo Kurebayashi, prese spunto dal presupposto che il pensiero di Dōgen e la sua identità storica, dovessero essere definite sulla base degli sviluppi nel pensiero Chan cinese. Questo approccio divenne rapidamente la caratteristica comune dei più recenti studi. Il metodo fu definito da Kagamishima Genryū (1912-2001) e fu utilizzato per la prima volta nella stesura dell’opera: “Uno studio delle Scritture e delle Citazioni Raccolte dal Maestro Dōgen (Dōgen Zenji to in ‘yō kyōten-goroku no kenkyū)”.

Il metodo di Kagamishima comprendeva:

      • L’identificazione delle fonti, sia nei testi Chan che nei Sutra, sulle quali si basano le citazioni di Dōgen.
      • Confrontare il contesto originale di tali citazioni con l’uso fatto da Dōgen.
      • Analizzare come Dōgen abbia, intenzionalmente o meno, reinterpretato le citazioni.
      • Descrivere le differenze tra le idee di Dōgen e i concetti del Chan cinese, specialmente gli atteggiamenti assunti dalla dinastia Song che Dōgen criticava.
      • · Chiarire le caratteristiche del pensiero di Dōgen collocandolo all’interno del processo di evoluzione del pensiero buddhista.

In particolare, Dōgen cita Hongzhi Zhengjue (1091-1157) nel discorso nr. 206 contenuto nell’opera: “Eihei kōroku, Vol. 3”. Nonostante il rispetto che nutriva per Hongzhi, Dōgen prese la frase:

“ Una pietra preziosa (la nostra Natura) non ha graffi (è immacolata). Se qualcuno prova a inciderla (introdurre una qualsivoglia Pratica), tutta la sua virtù (le sue qualità) andranno perdute.”

.. e la modificò come segue:

“ Una pietra preziosa (la nostra Natura) non ha graffi (è immacolata). Se qualcuno cercherà di lucidarla (introdurre una qualsivoglia Pratica), questo ne aumenterà il luccichio”.

Anche se sono stati modificati solo quattro caratteri, questo dimostra come Dōgen abbia ignorato l’approccio “contemplativo” di Hongzhi, cambiando il testo per enfatizzare la necessità di “lucidare” (introdurre una Pratica) per far emergere la natura immacolata. (ISHII, Shūdō, Uno Studio della Storia del Chan nella Dinastia Song (Sō dai Zenshū shi no Kenkyū, 1987 pagg. 367-369))

Questa metodologia di ricerca filologica è tutt’ora utilizzata e sono state identificate alcune frasi particolarmente significative per una comprensione del pensiero di Dōgen.

    • 2. Applicazione del metodo Yanagida-Iriya agli studi sul Chan cinese.

Al fine di meglio chiarire la posizione di Dōgen e l’originalità del suo pensiero, alcuni studiosi Sōtō hanno adottato un nuovo approccio analitico sviluppatosi in seno agli studi sul Chan cinese condotti da Yanagida Seizan e Iriya Yoshitaka. Con l’opera Shoki Zenshūshi no kenkyū, Yanagida fu il precursore dell’utilizzo di moderne metodologie di ricerca storica nel campo degli studi sullo Zen. Questo approccio dispensa la convinzione sulla validità delle agiografie sulla vita dei Patriarchi quale metodo per divulgare la fede e esamina in maniera molto critica i racconti trasmessi dalla Tradizione.

Questo approccio è stato rafforzato dalla rinvenimento, in Korea, di un fondamentale testo di trasmissione della dottrina, lo Zutang ji (Sodōshū) datato 952, che si riteneva fosse andato perduto. La sua scoperta ha modificato, in maniera drammatica, la prospettiva sul background storico in cui collocare lo Zen. Inoltre, nello Zen no goroku, Yanagida ha cercato di discernere lo sviluppo intellettuale degli scritti Chan sui grandi maestri della dinastia Tang.

Il lavoro di Irya, attraverso uno studio linguistico dettagliato, ha inoltre contribuito a chiarire l’uso e il significato delle frasi Chan, compreso l’utilizzo di locuzioni in vernacolo che hanno rivelato la natura viva e vibrante dei testi Chan. Fino ad allora, la natura elusiva del linguaggio Chan veniva interpretata come trascendentale e non si teneva conto della sua dimensione sociale. I risultati del lavoro di Irya sono raccolti nello Zengo jiten (il Dizionario delle Frasi e delle Espressioni Zen).

Le ricerche più recenti che hanno impiegato la digitalizzazione dei testi Chan cinesi, potenziate dalla possibilità di effettuare scansioni su di una grossa mole di file elettronici, hanno permesso una comprensione più profonda delle varie sfumature presenti nelle varie opere sullo Zen. Anche se una più completa esposizione del metodo cosiddetto Yanagida-Irya, analizzato da John McRae e da altri accademici occidentali, si pone al difuori dello scopo di questo capitolo, voglio solo puntualizzare che l’apprezzamento del ruolo del cinese volgare nell’ambito dei testi Chan, avviato da Irya, ha portato a sviluppi importanti negli studi Sōtō.

Il testo di Ishii Shūdō, Chūgoku zenshū shiwa: Shinji Shōbōgenzō ni manabu (I Racconti del Chan cinese: Riferimento ai Kōan nello Shinji Shōbōgenzō), è uno dei più notevoli risultati dell’interazione tra gli Studi Chan e Sōtō.

    • 3. Storia tradizionale del pensiero Sōtō Zen a confronto con una nuova prospettiva suggerita dal libro “Vedere attraverso lo Zen” (Seeing Through Zen).

“La trasmissione della Lampada dello Zen: non la consideriamo una favola ma nemmeno fatti storici. Questo è un libro storico carico di energia che mette a nudo la verità, separandola dal processo di creazione della finzione. “ (Recensione apparsa su Amazon Japan).

John McRae, Seeing Through Zen.

Prefazione:

“Questo libro è destinato a coloro che intendono dedicarsi all’analisi critica del buddhismo Chan, o Zen, cinese medievale. Le interpretazioni esposte nel libro, rappresentano le mie più profonde e sentite intuizioni su questa importante tradizione religiosa e attendo con impazienza di ricevere le valutazioni e le critiche dei lettori, studenti e colleghi. Più importanti dello specifico contenuto di queste pagine, sono i metodi di analisi utilizzati e i processi umani descritti. In altre parole, l’obiettivo principale di questo libro non è l’esposizione di una particolare narrativa del Chan cinese ma di contribuire a cambiare il modo con cui noi affrontiamo l’argomento.”

Le regole di McRae applicate agli Studi sullo Zen:

1. Non è vero, e pertanto è più importante.

2. Le affermazioni tratte dal lignaggio sono tanto forti quanto errate.

3. La precisione implica inaccuratezza.

4. Il romanticismo da’ origine al cinismo.

Prima, però, di considerare il punto di vista di McRae, dobbiamo rivedere quella che è la comprensione ordinaria della storia del pensiero Zen.

Storia del pensiero zen

1. Origine: il Fondatore, Bodhidharma.

Dalla biografia di Bodhidharma tratta dal Zenrin-kujitu Konmei-shu.

Bodhidharma, il fondatore della scuola Zen, era il terzo principe di Koshi-king, nel Sud dell’India. Il suo nome originariamente era Ksatryia. Ricevette la trasmissione del Dharma di Pannya-Trata (Hannya-tara). In quel periodo, Bodhi Trata cambiò il suo nome in Bodhidharma.

Bodhidharma venne da occidente per diffondere il vero buddhismo. Praticò zazen per nove anni fino a quando non trovò un discepolo degno di ricevere la trasmissione del suo Dharma. Durante questo lungo periodo di meditazione, la gente lo chiamava “Hekikan-Brahmana” e , di conseguenza in un libro diventò “Hekikan-Koso”.

2. Da Bodhidharma a Huineng.

27 Patriarchi indiani àBodhidharma à Hui ke àSeng can à Dao xinà Hong renà Hui neng.

      • a. Seng chan e la scuola Leng qiue.

Non ci sono prove che dimostrino che Sengchan fosse davvero esistito. Esisteva, invece, una scuola che considerava sacri i quattro volumi del Lankavatara Sutra (Leng qie jing).

      • b. Daoxin e gli insegnamenti della montagna orientale.
        • Smise di vagabondare e si sistemò in un tempio di montagna.
        • Adottò dei Sutra apocrifi scritti in Cina, quali il Suramgama-sutra e il Yuanjue jing (Sutra dell’Illuminazione Perfetta).
      • c. Hong ren e i suoi discepoli.
        • Stabilì un’assemblea di praticanti.
        • Unificò il pensiero buddhista con la pratica quotidiana nei monasteri.
        • Illuminazione graduale di Shen xiu e illuminazione istantanea di Huineng.
        • Nascita della Scuola del Nordo e della Scuola del Sud.

Nella Storia Ufficiale dello Zen, i Patriarchi appaiono in ordine cronologico ma secondo recenti ricerche, le scuole di pensiero non furono sviluppate indipendentemente dai singoli successori di Bodhidharma. “ Naturalmente non dobbiamo liquidare le tradizioni come cose inventate. Esse hanno un significato importante per lo sviluppo e la prosperità dello Zen .” Scrive McRae.

3. Sviluppo del pensiero della Scuola del Sud da parte del 6° Patriarca – Huineng.

Nel pensiero di Eno troviamo tre pilastri.

      • a. Jisho-Shojo: la natura di Buddha in ciascuno di noi è immacolata.

Eno ha insegnato che tutti gli esseri senzienti possiedono lo stesso potenziale per diventare Buddha. Questo elemento dottrinale è apparso ine primo dialogo del Sutra della Piattaforma: “Sud, Nord, Est o Ovest, tutte le persone hanno la stessa natura di Buddha”. Inoltre possiamo altresì vedere come tutti gli esseri siano, all’origine, puri: “Non c’è macchia o polvere sulla nostra natura di Buddha”.

Questo è il primo pilastro della sua dottrina.

Per via di questo concetto, sono nate le regole che determinano la forma come stabilita dalla nostra natura immacolata. Dato che queste regole riflettono la natura propria di ciascuno di noi, non possono essere fisse e universali. Questa “regola senza forma” è chiamata Musho-kai – questo è il secondo pilastro.

      • b. Muso-kai o Bussho-kai – precetti senza forma

“Muso” significa niente forma. Nel pensiero Zen non ci sono delle regole che proibiscano alcuni comportamenti ma le persone si trattengono in modo naturale obbedendo alla loro natura di Buddha. In altre parole il nostro comportamento è governato da un forte self-control. In questo caso “senza forma” significa che ogni individuo possiede dei suoi precetti innati.

Questo è il significato del secondo pilastro della dottrina di Huineng.

Egli si Risvegliò non mentre era seduto in meditazione, ma nel bel mezzo del lavoro quotidiano di pulizia del riso. Pertanto egli ha svincolato la pratica del Risveglio dalle restrizioni della meditazione seduta. Ha introdotto una nuova definizione di Zen. Da quel momento, tutte le attività della normale vita quotidiana sono equiparate allo zazen. Questo è il terzo pilastro di Eno.

      • c. Zazen svincolato dalla meditazione seduta.

Ridefinizione dello Zazen come totalità della vita quotidiana.

Grazie a questo nuovo concetto, il pensiero Zen ha iniziato ad attribuire grande importanza alle attività della vita quotidiana. Come sapete, la dottrina originale dello Zen fu portata a compimento in quel periodo. Pertanto chiamiamo Eno “Il Patriarca che ha stabilito il pensiero Zen”.

      • 4. L’indipendenza della Scuola Zen.

Nel corso del nono secolo, Bai zhang compose la Regola originaria per i praticanti Zen. Essa fu chiamata Shingi o Qinggui. Purtroppo il testo originale è andato perduto ma si ritiene che contenesse diversi aspetti molto rilevanti. Il più significativo di questi è l’importanza che viene attribuita all’attività produttiva nella vita monastica. Questa rappresentò una importante riforma dei precetti buddhisti in quanto in origine ogni attività produttiva all’interno del monastero era espressamente proibita. Lo Zen, invece, la convertì in una valida pratica buddhista.

Baizhan disse: “se non faccio nulla, non mangerò”. Questa affermazione ci fa capire quanto fosse importante l’attività di Samu.

Poichè il testo originale di questa Regola è andato perduto, e per altre ragioni, alcuni storici asseriscono che la Scuola Zen non divenne indipendente ai tempi di Baizhan. In questa prospettiva, nessuna innovazione nello Zen è avvenuta in quel periodo.

      • 5. Le Cinque Case.

Nello Zen ci sono diversi modi di esprimere il Satori e questo ha portato alla nascita di diverse correnti di pensiero, o “Case”, durante la dinastia Tang.

I loro nomi sono: Igyo, Unmon, Rinzai, Soto e Hogen.

Fa Yan Wen Yi (Hgen Mon’Eki) ha suggerito questa classificazione nella sua opera Zong men shi gui lun.

Ciascuna esprime il pensiero buddhista, ma ciascuna ha sviluppato il suo peculiare sistema educativo. Non sono realmente delle sette diverse poichè adottano la stessa definizione di Satori – differiscono solo nella comprensione concettuale e nella metodologia didattica.

Gli elementi che sono stati sinora esposti, appartengono alla Storia generale dello Zen, ma come voi ben sapete, questa Storia è stata redatta combinando insieme diversi aneddoti. McRae ha fatto notare questo importante elemento ma, allo stesso tempo, non ha mai rifiutato a priori alcun elemento di finzione. Egli ha scritto: “La finzione stessa è importante”.

Nella dinastia Song, i monasteri sono gestiti dal Governo – il sistema è noto come il Sistema delle Cinque Montagne (Wu Shan). Persino i monaci venivano nominati dal Governo. Inoltre lo stile di vita e il significato della pratica monastica cambiarono molto in questo periodo. Faccio notare che esiste un divario nella pratica Zen tra il periodo Tang e quello Song. Questo divario è stato scoperto solo di recente ed è diventato un fattore importante per comprendere la situazione dello Zen giapponese.

Dobbiamo, inoltre, tenere conto di questa situazione politica quando leggiamo lo Shōbōgenzō in quanto è in questo contesto che Dōgen ha studiato e praticato lo Zen cinese.

Comunque, recenti sviluppi nell’interpretazione delle opere di Dōgen ci portano a dover utilizzare tre nuove metodologie. Naturalmente queste tre metodologie non negano le precedenti ma pongono il pensiero di Dōgen sotto una luce diversa.

Le metodologie sono:

      • 1. Il metodo Kagamishima.

Si basa su di una attenta analisi delle citazioni di Dōgen, confrontandole con il loro significato originale.

      • 2. Yanagida-Irya
        • Considera la Storia dello Zen come una specie di romanzo. Ne ricerca e studia il significato storico cercando di capirne l’origine.
        • Il metodo Irya prevede l’analisi delle espressioni colloquiali presenti nei dialoghi Zen ricercandone il significato originale al momento del loro utilizzo.
      • 3. Mettere a nudo le idee di coloro che scrivevano facendo uso di aneddoti. Dobbiamo conoscere a fondo la Storia Ufficiale dello Zen poichè molti trattati giapponesi dipendono da essa.

Ho così indicato 3 nuove metodologie per leggere e comprendere le parole di Dōgen. Non dobbiamo avere una fede cieca nella Storia Ufficiale dello Zen ma attribuirne una certa importanza. Non dobbiamo ingoiare ogni cosa che ci viene detta ma nemmeno etichettare tutto come frutto della fantasia. Dobbiamo sforzarci a capire le ragioni e i processi che hanno portato a definire tale Storia.

Inoltre, dobbiamo chiarire il significato delle parole. Molte espressioni colloquiali risalenti al periodo Tang furono usate nei dialoghi Zen. Dōgen ha studiato lo Zen in Cina e pertanto molte di queste espressioni sono rintracciabili nello Shōbōgenzō. Se anche solo riuscissimo ad re-interpretarle usando le più recenti metodologie, gli Studi del Sōtō potrebbero progredire notevolmente.

Con questo in mente, voglio ora illustravi come leggere lo Shōbōgenzō utilizzando nuovi strumenti.

LEGGERE LO SHŌBŌGENZŌ

Cinque diverse compilazioni dell’opera.

Come ben sapete, lo Shōbōgenzō è una compilazione degli scritti di Dōgen redatti nell’antica lingua giapponese, Kanal. Ci sono 5 versioni diverse dell’opera a seconda del numero dei fascicoli che contengono: 95, 75, 12, 60 e 28 rispettivamente.

      • a. La versione con 95 fascicoli.Compilata nel 18° Sec, nel periodo Edo. Genito sokuchu, 50° abate di Eiheiji, raccolse tutti gli scritti, in giapponese, di Dōgen in occasione delle celebrazioni per il 550° anniversario della sua morte. I fascicoli furono sistemati in ordine cronologico e pertanto la raccolta rappresenta la versione ufficiale della scuola Sōtō.
      • b. La versione con 75 fascicoli.Si ritiene sia stata compilata da Dōgen stesso.
      • c. La versione con 12 fascicoli.Questa versione è conservata presso il tempio Yoko-ji nella Prefettura di Ishikawa. I 12 fascicoli furono rinvenuti nel 1936, nel periodo Showa e quando furono confrontati con la versione a 75 fascicoli, fu subito etichettata come Sin-soof (Materiale nuovo). Il contenuto dei 12 fascicoli tratta della dottrina base del Buddhismo.
      • d. La versione con 60 fascicoli.Si narra che Giun, il 5° abate di Eiheiji, abbia preparato questa versione come dono per lo Shogun Kamakura. Si tratta di un insieme di 50 fascicoli presi dalla versione a 75, più 7 tratti dalla versione a 12 fascicoli e 2 fascicoli presi dai supplementi. Questa versione è stata, quindi, compilata tempo dopo la morte di Dōgen ma alcuni fascicoli sembrano antecedenti al contenuto della versione a 75 fascicoli. Alcuni studiosi dello Shōbōgenzō asseriscono che la versione con 60 fascicoli indichi l’ordine di compilazione che fu poi seguito nella versione a 75 fascicoli.
      • e. La versione con 28 fascicoli.Si dice che Ejo, il secondo abate di Eiheiji, abbia trascritto i fascicoli. Dato che alcuni hanno lo stesso numero nella sequenza, sembra che sia un’opera incompiuta. Anche se non è considerata come una versione indipendente dello Shōbōgenzō, rappresenta un documento molto importante per stabilire il processo di compilazione dello Shōbōgenzō stresso.

E’ altresì possibile che le versioni a 12 e 75 fascicoli siano state costruite partendo dalle versioni a 28 e 60 fascicoli.

Traduzioni in Inglese dello Sh ō b ō genz ō e di altri testi del Canone Sōtō.

a. Sōtō Zen Text Project: http://scbs.stanford.edu/sztp3/
b. Bukkyo Dendo Kyokai “Digital Text” http://www.bdkamerica.org
c. San Francisco Zen Center Treasury of the True Dharma Eye (Kindle version)

Testo originale e testi di supporto.

a. The SAT Daizokyo Text Database http://21dzk.l.u-tokyo.ac.jp/SAT/
b. Digital Dictionary of Buddhism http://www.buddhism-dict.net/ddb/

Le peculiari espressioni utilizzate da Dōgen nello Shōbōgenzō.

Lo Shōbōgenzō contiene alcune espressioni tipiche di Dōgen, le sue particolari interpretazioni dei termini in uso nello Zen. Vorrei presentarvi 3 schemi rappresentativi.

1. Nei dialoghi, chi pone le domande è collocato sullo stesso piano di chi deve rispondere. Entrambi hanno raggiunto la buddhità – le domande indicano la Verità.

      • Lo scopo di Zazen.
        Mazu, Maestro Zen Daji di Jiangxi, studiò con Nanyue, Maestro Zen Dahui, Dopo aver ricevuto il sigillo della mente di Nanyue, Mazu sedette costantemente in Zazen. (SFZC)

2. Le parole di diniego (no, non, etc.) non significano solo diniego ma anche: assolutamente, perfettamente, completamente, e così via.

    • Genjo-koan . (SFZC)
      Così come la legna non torna ad essere legna dopo che è stata tramutata in cenere, dopo la morte tu no tornerai a nascere. Essendo ciò vero, nel Buddhadharma c’è una tendenza ormai consolidata a negare che la nascita (vita) si trasforma in morte. Nascita (vita) è intesa essere oltre la nascita (vita). Uno degli insegnamenti chiave del Buddha che la morte non si trasforma in nascita (vita). La morte è intesa essere oltre la morte.L’Universo realizzato (BDK – Bukyo Dendo Kyoka. Associazione per la promozione del buddhismo).
      La legna, dopo che è stata tramutata in cenere, non torna ad essere legna. Allo stesso modo gli esseri umani, dopo la morte non vivono di nuovo. Allo stesso tempo è uso comune del Buddhadharma non dire che la vita si tramuta in morte ed è per questo che si parla di “non-inizio”. Negli insegnamenti del Buddha, i giri della Ruota del Dharma, si stabilisce che la morte non si tramuta in vita ed è per questo che parliamo di “non-fine”.“Non-inizio” è fushō e “non-fine” è fumetsu. Le parole fushō-fumetsu che, per esempio, appaiono del Sutra del Cuore, esprimono l’istantaneità dell’universo.
      Nell’originale giapponese, fushō e fumetsu hanno un significato di negazione: non vivere, non essere più in vita, non morte etc. Nelle traduzioni illustrate sopra, invece, si parla di: (SZFC) – “oltre la nascita/morte” e, BDK, di “istantaneità dell’universo”.In entrambi casi non c’è un significato di negazione ma piuttosto di qualcosa di trascendentale.
    • 3. Non considerare i pronomi interrogativi come indicazione di una domanda. Essi sono espressioni di una verità che si pone aldilà di qualsiasi espressione.Talità (SFZC).
      Huineng, il Maestro Zen Daijan del Monte Caoxi, una volta parlò a Nanyue, che sarebbe poi diventato il Maestro Zen Dahui: “Cos’è che tale appare?”Studia a fondo questa affermazione che le cose sono semplicemente “cosa”, poichè “cosa” è aldilà di ogni dubbio, di ogni comprensione, semplicemente “cosa”. “Cosa” non può essere messa in dubbio.Esso (BDK)
      [108] Il Maestro Zen Daikan, in una occasione si rivolse al Maestro Zen Daie di Nagaku con la seguente frase: “Questo è qualcosa che appare così”. Queste parole indicano che essere in un certo modo è aldilà di ogni dubbio poichè è aldilà di ogni comprensione. Poichè “questo è qualcosa”, dobbiamo realizzare, con l’esperienza, che tutte le miriadi di cose sono veramente “qualcosa”. “Qualcosa” non è da mettere in dubbio: “appare così” (BDK).Dialogo tratto da John McRae, Il Sutra della Piattaforma del Sesto Patriarca.

      Il Maestro disse: “Non importa cosa, come potrebbe essere?

      • Nel dialogo originale, la parola “inmo/nen me” è usata in forma interrogativa per informarsi sui progressi fatti e sulla carriera di un discepolo. I Maestri Zen spesso usavano questa forma interrogativa quando si incontravano per la prima volta.
      • Dōgen ridefinisce il termine – si legge “non c’è dubbio, ma indica la verità”.
      • BDK traduce “inmo” in “qualcosa” ma è una misinterpretazione.

      Anche nel lavoro di SFZC troviamo delle traduzioni errate, dobbiamo essere molto attenti nel tradurre.

      Questi tre schemi sono una specie di caratteristica propria dello Shōbōgenzō.

      Possiamo comprendere quello che Dōgen asserisce nello Shōbōgenzō se capiamo come interpretare queste espressioni.

      Naturalmente queste particolari espressioni sarebbero confinate al fascicolo nel quale Dōgen le analizza. Per contro Gosyo, il più antico commentario, cerca di applicare questi schemi a tutti i fascicoli dello Shōbōgenzō. A mio avviso, dovremmo limitarci nell’uso di questi strumenti e tener conto delle nuove tendenze metodologiche di cui ho fatto cenno in precedenza. In particolare, per leggere in maniera appropriata lo Shōbōgenzō, dobbiamo guardare con cura al significato di ogni singola parola nel contesto storico in cui è collocata.

      Vorrei ora applicare tali metodologie a un passaggio dello Shōbōgenzō.

      Ho scelto il brano Kajō no maki (tratto dal fascicolo sulle attività di tutti i giorni). Esso è il fascicolo 64 nella raccolta dei 95, il nr. 59 nella raccolta dei 75 e il 43° nella raccolta dei 60.

      Il tema esposto in questo fascicolo è il significato della vita di tutti i giorni.

      Ora io citerò la parte iniziale e quella centrale, incluso il discorso di Rujing.

      BDK (Nishijima) – [Capitolo 64] – Kajō – Vita quotidiana.

      [97] In generale, nella dimora dei Patriarchi, consumare i pasti e bere il thè sono espressioni della vita quotidiana. Questa abitudine di consumare i pasti e di bere il thè viene tramandata da molto tempo ed è realizzata nel presente. In questo modo l’attività dei Patriarchi buddhisti di bere e mangiare è giunta fino a noi.

      [102] Il mio Maestro, il Buddha eterno, così predicava all’assemblea: “mi ricordo quanto segue: Un monaco chiese a Hyakujo: “Cos’è un miracolo?”Hyakujo rispose: “Sedersi in solitudine sulla cima della Grande e Maestosa montagna[1]”. Monaci non turbatevi, lasciate che il soggetto si tolga la vita sedendosi per un pò. Se qualcuno, oggi, dovesse improvvisamente chiedere: “Acharya, cos’è un miracolo?” Io gli risponderei semplicemente: “Come può una qualsiasi cosa essere un miracolo?” Infine, “cosa? La pātra di Jōji [2] è stata passata a Tendō, io consumo i pasti[3]”.

      Nella vita quotidiana di un Patriarca c’è sempre un miracolo: è stato chiamato “Sedersi in solitudine sulla cima della Grande e Maestosa montagna”. Anche se leggiamo “Lasciate che si suicidi sedendosi per un pò”, il suo “sedersi” è comunque un miracolo. C’è, altresì, qualcosa di ancora più miracoloso di questo – è stata definito come: “la pātra di Jōji passata a Tendō, e consumare i pasti”.

      Un miracolo in ogni momento e per ogni persona è sempre “consumare i pasti[4]”. Essendo vero allora il “sedersi in solitudine sulla cima di una grande montagna” è semplicemente: “consumare i pasti”. La pātra è usata per consumare i pasti e ciò che viene usato per consumare i pasti è la pātra. Per questa ragione il Maestro parla di “Jōji pātra” e “Tendō che consuma i pasti [5]”

      Dopo l’appagamento c’è il riconoscimento del pasto. Dopo aver completato il pasto, c’è appagamento. Dopo il riconoscimento c’è l’appagamento del pasto e dopo l’appagamento c’è ancora il pasto. Quindi, cos’è pātra? Io penso che si vada oltre la descrizione: “E’ solo un pezzo di legno il cui colore non è nero come ciò che è laccato nella stile giapponese”. Come può essere: “una pietra inflessibile” o “un uomo d’acciaio?”.

      E’ senza fondo e non ha narici. Ingoia lo spazio in un solo boccone, e lo spazio la riceve con mani giunte.

      SFZC (Kaz Tanahashi)

      64 ATTIVITA’ QUOTIDIANA

      Nella dimensione dei Patriarchi, bere il thè e consumare il riso sono attività quotidiane, attività che sono state trasmesse per secoli e sono vive nel presente.

      Rujing (Nyojo) insegnò: Ho sentito che un monaco chiese a Baizhang “quale può essere un fenomeno straordinario?” Baizhang rispose: “Sedersi in solitudine sulla montagna Daxiong. Nessuno può distrarre la persona, lasciamola sedersi completamente”. Oggi, se qualcuno dovesse chiedermi di descrivere qualcosa di straordinario io direi “Esiste qualcosa di straordinario? Cos’è? La ciotola di Jingci si è spostata; io ora mangio riso a Tiantong”. Nella dimensione dei Patriarchi c’è sempre qualcosa di straordinario. Sedersi da soli sulla vetta di Daxiong. Essere lasciati lì a sedersi completamente, questo è di per sè straordinario. Ancor più straordinario è il fatto che la ciotola di Jingci è stata spostata e ora posso consumare il mio riso a Tiantong. Ogni attività straordinaria è semplicemente consumare il riso. Quindi, sedersi in solitudine su Daxiong è consumare riso – la ciotola del monaco.”

      BLUE CLIFF RECORDS Traduz. di Taizan Maezumi.

      CASO VENTISEI

      Pai Chang che siede in solitudine sulla montagna Ta Hsiung

      Un monaco chiese a Pai Chang: “cos’è un evento straordinario?”[6]

      Chang rispose: “Sedersi in solitudine sulla montagna Ta Hsiung”[7]

      Il monaco si inchinò.[8]

      Chang lo colpì.[9]

      • Il significato originale del 26° Kōan del Blue Cliff Records. Paichan (Hyakujo) vuole evidenziare la dignità del nostro Sè immacolato, colpendo chi gli pose la domanda.
      • Rujing (Nyojo) ha citato questo insegnamento per dimostrare che chi dedica la propria esistenza alle cose ordinarie, sta in realtà facendo qualcosa di straordinario.
      • Dōgen asserisce che questa “straordinaria” vita ordinaria dovrebbe identificarsi con il “consumare i pasti”.
      • Le differenze in contesto e nell’interpretazione originale dei dialoghi, varia gradualmente.

      In questo caso potremmo confrontare il testo con l’originale cinese e identificare, co grande cura, il significato di ogni parola. Poi potremmo chiarire quanto asserito da Dōgen e confermare le nostre opinioni.
      Ci sono stati messi a disposizione dei nuovi strumenti. Usateli con profitto, porteranno ad una migliore comprensione della nostra pratica e la renderanno più stabile.

      Vi auguro di diventare tutti dei Maestri dotati dei poteri della pratica e del discernimento.

      Grazie.

      _________________________

      MATERIALE AGGIUNTIVO

      Inizieremo a leggere lo Shōbōgenzō Kajo usando il metodo Kagamishima.

      BLUE CLIFF RECORDS Traduz. di Taizan Maezumi.

      CASO VENTISEI

      Pai Chang che siede in solitudine sulla montagna Ta Hsiung

      Un monaco chiese a Pai Chang: “cos’è un evento straordinario?”

      Chang rispose: “Sedersi in solitudine sulla montagna Ta Hsiung”

      Il monaco si inchinò.

      Chang lo colpì.

      Cos’è un evento straordinario?”

      Spesso nei dialoghi Zen troviamo delle domande simili a questa.

      In questi casi chi pone la domanda lo fa alludendo all’aspetto religioso, ovvero pensando di toccare qualche argomento particolarmente elevato.

      Paichan, dal canto suo, lo ignorò e rispose con distacco e dignità. Purtroppo chi fece la domanda lo fraintese e interpretò la risposta come apprezzamento per la domanda – e così si inchinò, ma fu colpito.

      Questa è l’interpretazione più comune di questo caso, una interpretazione che, a mio avviso, ha un sapore tipicamente Rinzai. Questo Koan ha un significato di base ma, purtroppo, se rimaniamo fissati su questa interpretazione non troveremo mai la relazione con l’argomento principale del Kajo.

      Andiamo avanti e leggiamo le istruzioni di Rujin (Attività quotidiane). Rujin ha tagliato corto la domanda dicendo “Che nessuno si muova, se qualcuno si muove io lo obbligherò a sedersi completamente.” Dopodichè rispose alla domanda come fece Paichan.

      Dobbiamo rivedere il termine sedersi completamente. Il significato letterale del Kanji è “sedersi e uccidere” e così lo ha interpretato BDK.

      SFZC, invece, non lo interpreta così. Il Kanji viene visto non come il verbo uccidere ma come un suffisso (completamente, totalmente, in maniera estrema) per enfatizzare il verbo sedersi.

      Esso assomiglia molto alla risposta data da Paichan, ma le differenze rimangono. Rujing ha usato il termine “ciotola”, che è un elemento tipico della vita monastica, e quindi possiamo dire che Rujing ha riportato tutto alla vita nei monasteri. Ciononostante non dimentichiamoci che Rujing descrisse il suo stile di vita nell’ambito del sistema monastico proprio della Dinastia Song – il sistema delle Cinque Montagne. Jingci e Tiandon hanno entrambi lo status dei Cinque Shan. In questo contesto il commento di Rujing, da un punto di vista più politico, deve essere letto come segue: “Io non abbandonerò le ciotole = Io non abbandonerò la pratica”.

      Il sistema delle Cinque Montagne non aveva molta importanza per Dōgen, anche se lo conosceva molto bene. Egli sottolineò il concetto che il mondo è meraviglioso in quanto una manifestazione della Verità. Tale concetto fu concretizzato nell’idea della “ciotola” e del “consumare i pasti”. In quest’ottica possiamo comprendere chiaramente che Dōgen dava importanza solamente alla vita monastica di tutti i giorni simboleggiata dai pasti.

       


      [1] Daiyuho – la “Grande e Maestosa montagna” – è un nome alternativo per Hyakujozan dove il Maestro Hyakujo aveva stabilito il suo Ordine.

      [2] Il Maestro Tendō Nyojo lasciò il tempio di Jōji nel 1255 per divenire l’Abate del tempio di Tendō. La pātra, la ciotola da mendicante, è il soggetto trattato nel capitolo 78 (vol IV) dello Hatsu-u

      [3] Nyojo o Shogoroku Vol 2. Citato anche nel Cap. 78 (Vol IV) dello Hatsu-u

      [4] Kippan:”Consumare i pasti” è usato come un esempio delle attività quotidiane.

      [5] Jōji e Tendō sono in nomi di due templi e allos stesso tempo sono in due nomi del Maestro Tendō Nyojo. “Jōji pātra” suggerisce la ciotolo vera e propri e non una astrazione. Così come il consumare i pasti è inteso come il reale consumare dei pasti – l’azione vera e propria.

      [6] C’è un eco nelle sue parole. Egli dimostrò le sue qualità in una sola frase. Stupì le persone. Anche se il monaco possiede gli occhi, non aveva mai veduto.

      [7] La sua stupefacente aura avvolgeva tutto. Chi era in piedi e chi era seduto furono entrambi sconfitti

      [8] Un monaco intelligente! C’è ancora qualcuno che desidera vedere certe cose.

      [9] Chang è un Maestro